In mezzo al bosco c’è una croce, ci s’arriva dal viottolo
che sta di fianco alla lapide sulla strada.
Il sentiero è tortuoso e difficile da seguire, ci fa strada
un vecchio di più di ottant’anni che per la mano tiene un bambino, va su per il
bosco come se fosse ancora il bambino che sentì le raffiche di fucile. Lo seguo fino alla roccia, mi dice che è
successo “qui” e da ”lassù” hanno fatto
fuoco , sulla roccia c’è un altro vecchio che da bambino li sentiva gridare e
la mamma li fece entrare tutti in casa.
Sulla roccia con sorpresa scopro che le croci sono tre, c’è
quella nuova che hanno fatto da una ventina di anni, su quella viene posta la
corona di fiori, c’è quella vecchia che
dovrebbe essere degli anni 60 o 70
forse, è piccola e mi fa tenerezza. Poi c’è la prima, che una volta era una
croce ma ormai rimane un paletto di legno, la misero poco dopo la strage, mi
dicono.
Ora siamo in tanti ci
sono tre donne anziane, i due vecchi di prima, il bambino con la sua mamma e
altri ancora, c’è pure gente in divisa con l’uomo con la fascia tricolore, siamo tutti in mezzo al bosco intorno alle
tre croci. Io ascolto in silenzio i discorsi e i ricordi, sono lì per caso, non
sapevo delle croci e della commemorazione, metto una mano aperta sulla roccia,
è calda, forse lo era anche quel giorno.
Torniamo via, ancora sentiero, poi accanto alla lapide e
sulla strada, le donne anziane lasciano i fiori e puliscono li intorno,
appoggiati al muretto i vecchi raccontano ancora, qualcuno sapeva o ha fatto la
spia, uno si è salvato fingendosi morto,
sono rimasti quattordici giorni sulla roccia “calda”.
Ci salutiamo, con l’augurio di rivedersi il prossimo
anno e di sentir dire ancora “..E non siamo ancora tutti”.
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